Il morbo di Parkinson prende il nome da James Parkinson che (nel 1817) descrisse tale patologia nel suo “trattato sulla paralisi agitante”.
La malattia è determinata da una lesione a carico del sistema dopaminergico nigro-striato che provoca un progressivo spopolamento e depigmentazione della sostanza nera di Somering. È una malattia ad esordio lento e decorso cronico di cui non si conosce la causa e la cura definitiva, pertanto l’intervento terapeutico è basato (farmacologicamente) sull’impiego dei precursori della dopamina e su sostanze anticolinergiche aventi rispettivamente lo scopo di:
Quest’ultima infatti ha una funziona inibitoria del tono muscolare, cioè riduce il tono muscolare e una sua riduzione o mancanza ne determina quindi un’aumento, ovvero una rigidità.
Questa malattia colpisce tra i 60 e 70 anni il 3% della popolazione, ma in alcuni casi può comparire più precocemente; è stata riscontrata inoltre una certa familiarità. L’atteggiamento di espressione della malattia di flessione, di chiusura in sé stessi, è stato spesso correlato con il carattere introverso e riservato che spesso hanno avuto questi pazienti.
Le sindromi parkinsoniane sono caratterizzate sul piano clinico dalla comparsa di 4 sintomi fondamentali che possono insorgere indipendentemente l’uno dall’altro e non essere tutti evidenti nella stessa persona.
Questi sono: tremore, rigidità, turbe della postura, acinesia.
– Il tremore è presente caratteristicamente a riposo e può interrompersi improvvisamente durante l’esecuzione dei movimenti volontari. Si tratta di un tremore regolare, al ritmo di 4-6 scosse al secondo, più marcato all’estremità degli arti e più evidente alle mani che non ai piedi.
Questo tremore, seppur raramente, può interessare la mandibola, le labbra e la lingua. Le emozioni, la fatica ed uno sforzo di concentrazione (es. calcolo mentale) lo facilitano; inoltre il tremore di un arto può comparire nel corso di uno sforzo eseguito con l’arto superiore controlaterale (quindi durante un movimento dell’altro arto).
– La rigidità è rappresentata dalla classica ipertonia extrapiramidale, causata dalla mancanza dell’inibizione del tono muscolare provocata dal deficit di dopamina. È presente dunque un’aumentata resistenza delle masse muscolari ai movimenti passivi e la rigidità cede a tratti successivi provocando il cosiddetto fenomeno della “ruota dentata”. Tale rigidità può interessare un solo arto, un solo lato, o tutti e quattro gli arti e così come il tremore scompare nel riposo assoluto e nel sonno, mentre aumenta in seguito a emozioni e al freddo. La rigidità parkinsoniana si caratterizza per la sua qualità plastica e per la sua distribuzione tale da determinare un atteggiamento generale in flessione. Esso si manifesta precocemente a livello del gomito, si accentua nel corso dell’evoluzione interessando la testa e il tronco che sono inclinati in avanti; gli arti superiori sono in leggera flessione e in adduzione, gli arti inferiori hanno le ginocchia flesse.
Il malato conserva questo atteggiamento anomalo in tutte le attività, in particolare nella marcia in cui il paziente partecipa a piccoli passi, in un solo blocco e appunto senza movimento pendolare delle braccia (bradicinesia). La tendenza alla flessione c’è anche a letto.
– Questo atteggiamento coincide con altre turbe della postura: la stazione eretta così come la posizione seduta è instabile, infatti nella stazione eretta una leggera spinta o il raddrizzamento della testa può causare la caduta; nella posizione seduta si ha una mancanza di equilibrio soprattutto al’indietro.
– L’acinesia si esprime nella tipica lentezza all’inizio del movimento (es. camminare), nella scarsità delle espressioni del viso (per questo si parla di facies figèe), e gestuali spontanee e nella perdita di destrezza dei movimenti rapidi e ripetuti come il battere le mani. A causa di questo disturbo i movimenti fini, a volte automatici, della vita quotidiana divengono assai difficoltosi e lenti. L’acinesia ovvero la perdita della spontanea e sciolta iniziativa motoria non sembra proporzionata al grado dell’ipertonia.
Nella deambulazione, le turbe dell’iniziativa motrice possono quasi bloccare il soggetto ai primi tentativi di porsi in cammino, mentre poi una volta iniziata la marcia l’ammalato può progressivamente accelerare il passo “come se corresse dietro al suo centro di gravità” (fenomeno chiamato festinazione).
Tra le altre manifestazioni, questi soggetti hanno difficoltà ad iniziare il discorso, parlano con voce monotono, e in maniera rallentata, con voce flebile (bradilalia); può essere presente anche la ripetizione monotono dell’ultima parola o dell’ultima frase (palilalia). Spesso sono presenti turbe della scrittura che diventa rallentata, deformata, tremolante, con tendenza globale alla micrografia. Sono evidenti disturbi vegetativi con alterazioni della cute che diventa seborroica determinando un aspetto lucido del viso, turbe della sudorazione, ipotensione ortostatica (abbassamento di pressione nello passare seduto o in piedi) e soprattutto scialorrea (bava alla boca) che può diventare un segno precoce e molto noioso. Spesso si hanno disturbi della sfera psichica come una depressione attiva (cioè dovuta alla malattia che lo affligge) e rallentamento ideativo.
Nella deambulazione questi pazienti sono soggetti alla caduta perché tendono a incrociare le gambe, soprattutto in presenza di ostacoli improvvisi. È presente inceppamento cinetico nel girarsi di 180° e una difficoltà nei passaggi posturali (cioè nel cambiare posizione)dalla posizione seduta alla stazione eretta.
Con l’evolversi la malattia, a causa dei suoi atteggiamenti assume una deformità stabile, pertanto saranno presenti retrazioni muscolo-tendinee. Sono presenti anche delle deformità che interessano gli arti superiori, inferiori e la gabbia toracica. Quest’ultima (a causa dell’atteggiamento cifotico) determina un affanno precoce che porta il paziente a spostarsi di meno e quindi all’acinesia. Le mani assumono l’atteggiamento come quando si stringe una penna, o comunque è semichiusa.
L’evoluzione della malattia è lenta, ma inesorabilmente progressiva nel senso dell’aggravamento. La durata media di sopravvivenza è di 10-15 anni, ma è tanto più lunga quanto più giovane è l’età del soggetto all’inizio della malattia; quindi è strettamente correlata ai problemi correlati dall’immobilizzazione e dall’allettamento (infezioni respiratorie, urinarie, piaghe da decibito ecc).
Il decorso della malattia si può dividere in 4 stadi (o livelli):
In sintesi il primo e secondo stadio sono tenui, ed in essi il paziente ha una vita autonoma anche se è presente il caratteristico tremore; il terzo e quarto stadio presentano ulteriori complicazioni e pertanto devono essere trattati maggiormente con fisioterapia, rispetto ai precedenti in cui l’intervento fisioterapico è comunque indispensabile. I pazienti affetti dovrebbero comunque essere incentivati fin dall’inizio ad eseguire il trattamento riabilitativo. Un aiuto può essere rappresentato da un trattamento di tipo domiciliare.
Nelle fasi iniziali (stadio 1-2 e in parte 3) la riabilitazione deve avere il compito di combattere in qualche modo l’atteggiamento tipico che poi caratterizzerà questi pazienti, quindi:
Nelle fasi 3-4 il paziente, come accennato presenta le fasi di blocco dette “fasi off”, tende a non camminare più, a perdere la capacità di eseguire movimenti ritmici associati e ad avere problemi cognitivi. La riabilitazione pertanto sarà basata sulla:
Per evidenziare lo stadio della patologia in cui si trova il paziente, esistono delle scale di valutazione che permettono di renderci conto dell’effettivo stato in cui si trova il paziente e che permettono di definire la sua funzionalità motoria. Nel caso del M. di Parkinson tale scala funzionale è la P.R.S.
Un buon intervento riabilitativo precoce, permette quindi: