La riabilitazione neuromotoria è quella branca della riabilitazione volta al recupero delle funzioni motorie e all’apprendimento di strategie adattative in soggetti colpiti da malattie neurologiche.
Tali affezioni comprendono, al loro interno, una vasta gamma di patologie che possono coinvolgere sia il sistema nervoso centrale, come accade ad esempio nella malattia di Parkinson, nella sclerosi multipla, nell’Alzhaimer e nell’epilessia, oppure interessare il sistema nervoso periferico, in caso di miopatia, polineuropatia e miastenia.
Il principale obiettivo della riabilitazione risulta, pertanto, quello di ristabilire nel soggetto una condizione di salute, definita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), come “uno stato di completo benessere, fisico, psichico e sociale e non solo semplice assenza di malattia”.
La presa in carico del paziente per raggiungere un così ambizioso obiettivo deve essere il più completa possibile, permettendogli di riacquisire non solo forza e precisione nello svolgimento dell’atto motorio, ma anche autonomia, favorendo la reintegrazione nel contesto sociale ed il recupero della funzionalità residua.
Gli approcci riabilitativi di riferimento in merito sono:
Questo metodo si propone di analizzare lo schema alterato attraverso il “problem-solving”, indirizzando la valutazione e l’intervento nei confronti di soggetti con disturbi funzionali del movimento e con disordini del controllo posturale, secondari a lesioni del sistema nervoso centrale.
In seguito ad un accurato esame delle capacità residue del soggetto, si mira ad attuare un “ricondizionamento propriocettivo” che consenta un controllo del tono mediante determinate posture. Ulteriori pilastri di questo approccio, sono individuabili nella proposta di facilitazioni del movimento normale attraverso l’esecuzione di reazioni di raddrizzamento e di equilibrio per la progressione verso il recupero di abilità motorie e l’utilizzo di schemi inibitori dell’attività riflessa alla base dei patterns caratteristici dell’ipertonia.
Con il paziente seduto sul lettino, la terapista mantiene la posizione dell’arto della paziente a 90° e regola la posizione del cingolo. E’ importante che l’arto inferiore sia flesso, con il piede pronato e la pianta ben fissata sul pavimento di appoggio quando si fa eseguire all’arto superiore l’elevazione e l’estensione, così da evitare reazioni associate di spasticità.
La tecnica Kabath è nata attraverso l’osservazione dei movimenti dello sport e della danza, nei quali si evidenzia una componente di diagonalità che si manifesta nell’esecuzione di movimenti rotatori. Da questa constatazione è stato dimostrato che nell’esecuzione dell’atto motorio, i muscoli non si attivano singolarmente, ma in gruppi secondo schemi di movimento complessi. Questi schemi sono primariamente composti da movimenti che combinano tra di loro flesso- estensione, adduzione- abduzione e rotazione; tra tali movimenti, Kabath individuò i cosiddetti “schemi base” i quali vanno a costituire “l’alfabeto del movimento”.
Tramite l’esecuzione di questi schemi diagonali-spirali si è in grado di porre gruppi muscolari in massimo allungamento, seguendo determinate linee di forza fino a raggiungere un massimo accorciamento. E’ stato dimostrato che il massimo allungamento ed il raggiungimento della massima elasticità migliora significativamente il recupero della forza. Secondo tale principio, una funzione deficitaria può essere stimolata, andando ad attivare un complesso globale di movimento con un meccanismo simile all’irradiazione dei riflessi. Si utilizza soprattutto in quelle patologie che provocano una paralisi flaccida.
Schema di estensione – adduzione – intrarotazione con estensione del gomito, utile per richiamare il pattern globale dei muscoli della spalla, come il piccolo ed il grande pettorale. Il terapista deve esercitare con la posizione delle mani un controllo attento di tutte le componenti del movimento, infatti con la mano prossimale applica una resistenza continua e con quella distale guida il movimento.
Alla fine degli anni Novanta, il neurologo Carlo Perfetti elabora la teoria cognitiva della Riabilitazione. I cardini teorici di questo approccio permettono di definire la riabilitazione come apprendimento in condizioni patologiche, all’interno delle quali il corpo diventa una superficie recettoriale che mediante il movimento ed i processi cognitivi, conosce il mondo che lo circonda. L’intervento riabilitativo si attua nella proposta dell’ “Esercizio Terapeutico Conoscitivo”.
Nell’ “Esercizio” si individua lo strumento del riabilitatore, che ha il compito di strutturare un contesto adatto per ogni paziente in modo tale che possa raccogliere informazioni significative. Con l’attributo “terapeutico” ci si rivolge agli elementi focali del disturbo interessato, che ne costituiscono lo specifico patologico. Infine, con il termine “conoscitivo”, si fa riferimento a quei processi che permettono la relazione con il mondo esterno,come la percezione,l’attenzione,la memoria ed il linguaggio.
Gli esercizi vengono programmati in base all’elemento dello specifico motorio che il paziente deve imparare a controllare e si distinguono in esercizi di primo, secondo e terzo grado.
In questo esercizio, mediante il riconoscimento di sfere con altezze differenti al di sotto del polso, si finalizza il raggiungimento della prensione di oggetti. L’esercizio, in quanto esercizio di primo grado, si esegue rilasciando la componente motoria a carico del terapista e richiedendo al paziente di escludere il canale visivo.