Questo intervento, ormai molto frequente, viene fatto essenzialmente a causa di una coxartrosi (artrosi dell’anca) o a causa di fratture del femore, quindi per cause traumatiche.
Tra le altre indicazioni troviamo: la necrosi della testa del femore (quindi la pseudoartrosi), necrosi nel caso di fratture trattate in precedenza con osteosintesi e alcuni tumori dell’estremità superiore del femore.
La coxartrosi è molto frequente, predilige il sesso femminile, può essere sia primaria che secondaria, ma con maggior frequenza è secondaria (vedi articolo artrosi), quindi riferibile a fattori locali (traumi acuti o microtraumi) o sintomo secondario di un’altra malattia come la displasia congenita dell’anca, artriti dell’anca, spondilite anchilosante, malattia di Paget. Gran parte delle coxartrosi sono dovute a displasia congenita dell’anca.(vedi articolo artrosi dell’anca).
Sia le endoprotesi che le artroprotesi possono essere cementate o non cementate. Questa differenza sta nell’utilizzo o meno di una sostanza, per la precisione un polimero, usata anche nella “vertebroblastica” che viene ottenuta mescolando una polvere con un liquido.
i materiali con i quali sono fatte le protesi sono: metalli di acciaio inossidabile o titanio, bioceramiche, polietilene ed eventualmente il cemento.
Il polietilene è un polimero, ovvero una resina, usato come rivestimento dell’acetabolo, nell’incastro tra le due componenti. Esso però và più facilmente incontro ad usura nell’interfaccia con la testa metallica, determinando la formazione di detriti che sono molto dannosi in quanto, avviando un processo infiammatorio, attirano i macrofagi che possono essere causa di osteolisi e conseguente mobilizzazione della protesi. Proprio per questo si stanno usando sempre di più come rivestimento delle protesi le ceramiche, i cui loro detriti sono inerti ed hanno usura molto bassa. Attualmente si usano quindi materiali di rivestimento con un’interfaccia ceramica-ceramica o ceramica-metallo che comunque danno minori detriti.
Le principali caratteristiche richieste alla neoarticolazione protesica sono dunque resistenza all’usura e basso coefficiente di attrito. È importante pertanto che vengano usati materiali biocompatibili e che si cerchi di essere il più vicino possibile a una corretta riproduzione morfologica e biomeccanica dell’anca. L’obiettivo è quello di ottenere un’anca stabile, mobile non dolente.
In ogni caso è buona norma evitare per almeno le prime 3-6 settimane movimenti di flessione oltre ai 90°, o estensione, associati a adduzione o abduzione e intra o extrarotazione.
Della lussazione già si è detto come evitarla in considerazione anche dell’accesso chirurgico.
Lo scollamento invece, può essere settico, ovvero dovuto a un’infezione, o asettico.
L’anca è una struttura flessibile con un effetto ammortizzante. La protesi, invece, è una struttura rigida con un coefficiente di elasticità diverso dall’osso e con una distribuzione dei carichi non perfettamente uguale a quella fisiologica. Questo determina una diversa sollecitazione. Pertanto una persona abituata a stress continuativo a livello dell’anca non è molto indicata a una protesi perché andrebbe incontro a rischio di scollamento. Proprio per evitare il rischio di scollamento asettico una persona operata di protesi d’anca dovrà modificare quindi alcune sue abitudini di vita che vedremo più avanti.
Altra causa di scollamento asettico nella protesi cementata è dovuto al fatto che il cemento si stacca dall’osso rimanendo adeso allo stelo, il quale poi si muove e ad esempio si varizza, si sposta all’interno. Oppure a causa delle forze prima descritte, il cemento si rompe nella parte inferiore, a fondo dello stelo, con conseguente affondamento della protesi e successivo movimento a “pistone”. Nella protesi non cementata invece, lo scollamento può verificarsi come visto in precedenza a causa di una osteolisi dovuta a detriti della parte di polietilene; o per una mancata stabilità primaria, ovvero di osteointegrazione tra osso e impianto.
La diversa lunghezza dell’arto operato si può verificare a causa delle misure delle componenti metalliche, spesso standard, o perché spesso per avere una maggiore stabilità si preferiscono delle componenti protesiche più grandi con maggiore lunghezza dell’arto. Altro fattore non trascurabile è la lassità dei tessuti e/o un livello di taglio non precisissimo (osteotomia).
La riabilitazione deve essere sostanzialmente divisa in due fasi: una fase pre-operatoria e una fase post-operatoria.
Diversi studi clinici hanno dimostrato che nei pazienti preventivamente sottoposti a trattamento riabilitativo, l’intervento di protesi d’anca dà risultati migliori ed i tempi di recupero post-operatorio sono di molto ridotti.
Inoltre la possibilità di imparare prima dell’intervento a gestire una deambulazione (cammino) con bastoni canadesi, sapere come muoversi e cosa non fare con l’arto operato, risulta indiscutibilmente utile al paziente sia da un punto di vista pratico, sia da un punto di vista psicologico. È inoltre importante la fisioterapia respiratoria in preparazione all’intervento soprattutto in pazienti con patologie broncopolmonari.
ha invece come obbiettivi:
Il trattamento inizia subito, fin dal primo giorno dopo l’intervento incentrando il trattamento su una cauta mobilizzazione ed esercizi isometrici. Importante è il posizionamento a letto con arti abdotti e rotazione neutra; per questo spesso viene usato un divaricatore o cuscino in mezzo le gambe; si insegnano come eseguire i passaggi posturali letto-sedia e viceversa senza caricare sull’arto operato. Oltre al ripristino della mobilità è importante aiutare il drenaggio linfatico dei tessuti.
Questo è possibile tramite una particolare tecnica di massaggio il “linfodrenaggio” che deve essere eseguito nell’immediato periodo post-operatorio da terapisti qualificati.
Nelle migliori delle ipotesi già al secondo giorno si aiuterà il paziente a mettersi in stazione eretta, aiutandolo e spiegandogli come, con carico a tolleranza; si continua il lavoro di recupero dell’articolarità progressiva e graduale e gli esercizi di stretching.
Al terzo-quarto giorno giorno il paziente, se riesce, seguito sempre dal terapista, può già cominciare a fare i primi passi con carico sfiorante e con deambulatore con sostegno sottoascellari; si continua il lavoro di rinforzo.
Dal quarto giorno al ventesimo si cammina col deambulatore con appoggio ascellare e si incrementa l’entità di carico in maniera progressiva; continuano gli esercizi di rinforzo in particolare dei muscoli: medio gluteo, grande gluteo e quadricipite; si inseriscono esercizi propriocettivi.
Appena si chiude la ferita chirurgica, è consigliata l’idrokinesiterapia.
Dalla terza settimana il paziente comincia a camminare con le stampelle con incremento progressivo del carico, fino a toglierne una tenendo sempre in considerazione un carico a tolleranza; inizia a fare la cyclette.
Dalla quarta settimana inizia a fare le scale con una canadese e corrimano.
Dalla quinta settimana si concede un carico completo si continua un lavoro di rinforzo anche con pesetti a cavigliera con aumento progressivo.
In conclusione, possiamo dire che l’intervento di sostituzione chirurgica dell’anca con una protesi ha permesso a moltissime persone di condurre una vita attiva e normale, quando prima non era possibile poiché tale articolazione era stata gravemente danneggiata da malattie che limitavano o addirittura impedivano le normali attività della vita quotidiana come camminare, alzarsi da una sedia.
Inoltre c’è da aggiungere che le tecniche chirurgiche ormai avanzate, e il miglioramento dei materiali con i quali vengono costruite le protesi hanno permesso di ottenere ottimi risultati, di semplificare e di agevolare il percorso riabilitativo post-chirurgico.
Se viene effettuata un buona riabilitazione, l’anca riacquista in breve tempo la funzionalità che aveva perduto!
Concludiamo con delle raccomandazioni.
Una persona operata di protesi all’anca dovrà comunque modificare, seppur in maniera relativa, alcune sue abitudini di vita sia, nell’immediato post-operatorio (per evitare la lussazione) che a seguire, perché non deve sovraccaricare e non stressare troppo l’arto altrimenti la durata media della protesi (che abbiamo visto essere di 15-20 anni) si riduce esponendo il soggetto a rischio di scollamento asettico.
In seguito dunque è bene che il paziente: